La Mafia teme la parola

Quarto appuntamento della rassegna Notte dei racconti attraverso la voce di chi c'era.

Per il quarto anno la rassegna la Notte dei Racconti dell’IIS Laeng Meucci di Osimo-Castelfidardo apre le porte ai propri studenti, a quelli degli istituti comprensivi di Osimo, alla comunità tutta.

Incontra più di cento studenti della scuola secondaria di primo grado Mazzini di Castelfidardo.

In occasione del trentennale delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio e a quarant’anni dall’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, si riaccende la memoria collettiva di quegli eventi, non solo per onorare il sacrificio delle vite perse o rievocare quella terribile stagione di tritolo e lacrime, ma per riviverli e attraversarli.

Nasce l’incontro con la storia, senza scorrere pagine o immagini di quei fatti universalmente condivise, ma attraverso la voce di chi c’era. Voci narranti che comunicano pezzi di vita, emozioni e favoriscono in chi ascolta nuove esperienze e profonda trasformazione.

23 Maggio 1992 – Capaci

Ci scuote, ci commuove, ci fa riflettere il racconto di Antonio Vassallo fotografo di Capaci, presente in quel maledetto giorno sul luogo della strage.

Le sue parole riecheggiano il boato dell’esplosione, rendono visibile il cumulo di macerie, le auto divelte, la nube di fumo e detriti che imperversa funesta sopra Capaci. Svetta l’altura antistante da cui è stato premuto il PULSANTE; sulla stessa, i duecentocinquanta mozziconi di sigaretta rinvenuti tradiscono la falsa sicurezza degli attentatori, rivelandone piuttosto meschinità e paura.

Non è la solita storia che siamo abituati ad ascoltare o a leggere con distacco, con la percezione di un ricordo lontano e per molti giovani in platea addirittura sconosciuto.

Ne siamo tutti immersi.

Nel racconto si palesano dettagli inediti che solo chi ha vissuto può condividere, suscitando interrogativi senza risposta. Che fine ha fatto l’agenda gelosamente custodita dal giudice Giovanni Falcone? Come hanno fatto gli attentatori a posizionare quel rilevante quantitativo di esplosivo del tutto indisturbati? Che dire del rullino di foto scattate da Antonio e misteriosamente scomparso?

Antonio oggi oltre al suo lavoro, da cittadino attivo, condivide tutto questo con chiunque abbia il piacere di ascoltarlo.

Non dà risposte a queste domande, perché non ci sono e forse non ci saranno mai, ma invita ciascuno a porsele aumentando la propria consapevolezza, il proprio spirito critico, il proprio senso di legalità.

19 Luglio 1992 – Via D’Amelio

Cosa Nostra colpisce ancora.

A soli cinquantasette giorni dalla strage di Capaci, in una fino ad allora anonima via di Palermo, qualche minuto prima delle 17, esplode una Fiat 126 imbottita di novanta chili di tritolo. Perdono la vita il giudice Paolo Borsellino insieme a 5 agenti della sua scorta. Le vittime di quella strage non sono finite, ce n’è un’altra, una “picciridda”, una ragazza, Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia della storia, colei che chiamava Borsellino “zio Paolo”.

Il 26 luglio 1992, a soli 7 giorni dalla strage, Rita Atria si suicida, lanciandosi dal sesto piano della sua abitazione in Via Amelia (beffarda coincidenza) a Roma.

Ci conducono in quella fitta trama di eventi le parole di sua cognata Piera Aiello, disvelandoci in un’inedita prospettiva retroscena, personaggi, intrighi, violenze, raccapriccianti e sconosciuti.

Piera non solo ha visto, ma ha convissuto con quel mondo oscuro. Piera ha vissuto più di una vita, prima come moglie del figlio di un boss mafioso, Nicolò Atria, fratello di Rita, poi come prima testimone di giustizia e infine come deputata delle Repubblica.

Costretta a quel legame parentale, assuefatta alle violenze domestiche, alle minacce, dopo l’omicidio del marito, freddato dai killer davanti ai suoi occhi, nel 1991 Piera dice basta a quel mondo mafioso ed inizia a collaborare con la giustizia.

Piera parla, racconta anche a noi la mafia reale, quella stessa mafia che l’ha presa in moglie, l’ha resa madre e l’ha poi costretta spogliarsi della propria identità.

Nella narrazione lo scenario si allarga.

La parola “mafia” che con pregiudizio ci riporta all’immagine di un’organizzazione criminale fatta di soli uomini, comprende anche le donne. La donna è fondamentale nelle alleanze di sangue, trasmette i valori criminali, mantenendo il processo educativo all’interno delle mura domestiche per evitare contaminazioni esterne. La donna è l’incitamento alla vendetta a quell’atto di riparazione al torto subito che nella fattispecie mafiosa è vera e propria esigenza: non vendicare l’onore è segno di debolezza che provoca un forte sentimento di vergogna.

La “mafia” non va ricondotta al solo traffico di stupefacenti, al giro di denaro sporco, al traffico di armi, è desiderio di potere ed esercizio di potere.

Piera non si è mai piegata a queste leggi. Rita le ha respirate fin dalla culla e immaginate proprie di tutti, non conoscendo altra realtà. Entrambe, poi, hanno deciso di contrastarle, scegliendo la legalità, scegliendo di seguire “zio Paolo”.

Rita non c’è più. Piera conduce da 27 anni una vita sotto scorta, che continuerà allo stesso modo, anche se a volto scoperto.

Antonio Vassallo e Piera Aiello ci hanno raccontato le loro storie e insieme la storia di Falcone, di Borsellino, degli agenti delle scorte, di Rita, di altri noti e meno noti, un frammento di storia del nostro Paese, la storia di ognuno di noi. Storie che accendono la speranza di una collettiva e lucida consapevolezza.

Raccontare, fare memoria è fare luce e liberarsi con spirito critico dei valori negativi imposti dal dominio mafioso, che tanto ama l’omertà e il buio.

Se ancora oggi si parla di Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Rita Atria, del sacrificio delle loro vite, del loro coraggio e della solitudine nel loro coraggio (spesso “il coraggio è solo”), è perché esiste un’etica universale, dei valori fondamentali che non si spengono e non devono mai spegnersi: la bellezza dell’onestà, la garanzia della legalità, il privilegio della libertà.

Diamo voce a questi valori. La mafia teme la parola.

Testo di Laura Caporalini, foto di Riccardo Pesaresi.

 

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